Coldplay

Coldplay

Finalmente dopo mille peripezie sono riuscito ad andare a vedere un concerto dei Coldplay! “Finalmente” perché la storia non è breve 🙂

Nel 2016 ero rimasto parecchio infastidito che il loro tour “A Head Full of Dreams” non passasse dall’Italia, e allora in un impeto di follia avevo preso due biglietti per Barcellona, poi rivenduti perché evidentemente non era cosa. Fortunatamente però i ragazzotti inglesi si sarebbero fatti prontamente perdonare: nel 2017 avrebbero fatto sostanzialmente un “secondo giro” e questa volta sarebbero passati anche dall’Italia, a Milano.

La lotta per i biglietti, come forse qualcuno ricorda, fu feroce e anzi ebbe strascichi giudiziari non da ridere (metto tanto di link per i meno attenti). In realtà io fui tra i pochi fortunati ad accaparrarmi il biglietto per vie normali: quella mattina – era esattissimamente un anno fa, il 7 ottobre – mi applicai come un forsennato sul sito della Ticketone e, grazie alle mie 15 pagine aperte in parallelo refreshate a macchinetta, riuscii a trionfare! Voi direte: ma non sapevi che saresti stato in America? In effetti caso volle che il concerto fosse programmato per il 3 luglio, cioè perfettamente all’interno del mio break europeo con conferenza ad Atene e matrimonio di  Serena e Giovanni (due miei amici).

Tutto perfetto insomma, però l’aver preso un solo biglietto mi lasciava un pochino l’amaro in bocca… Allora l’idea geniale! Sicuramente i Coldplay passeranno anche da San Francisco, no? Rapida controllata e, ovviamente sì, un concerto a San Francisco ci sarebbe stato, precisamente il 4 ottobre! In questo caso riesco a conquistare ben due biglietti senza troppa fatica: perfetto!

Arrivato a luglio, decido di rivendere il mio biglietto milanese: “Perché andare da solo quando andrò in compagnia a San Francisco?” si chiedeva gagliardo il babbeo 🙂

In effetti poi, paradossalmente, succede che mi cala un po’ l’entusiasmo. Un po’ i vari casini estivi con i viaggi avanti indietro, un po’ il pensiero rivolto al sistemarmi nella nuova casa a settembre, insomma il concerto si avvicina ma io non ho più molta voglia e sostanzialmente non organizzo nulla. Provo anche a rivendere i biglietti ma, contrariamente alle mie previsioni, senza successo, benché il concerto fosse sold out (in effetti il sito che gestisce la vendita dei biglietti è molto flessibile e ti permette di rivendere il tuo biglietto sulla stessa piattaforma… peccato che molti altri avessero avuto la mia stessa idea). Ovviamente non trovo nessuno con cui andare all’ultimo momento. Morale della favola, il giorno prima del concerto mi ritrovo a programmare il tutto abbastanza all’ultimo e senza troppa voglia.

Tra parentesi, il concerto non è nemmeno a San Francisco, ma a Santa Clara, che sta in fondo alla Baia, in piena Silicon Valley, a circa 70 chilometri a sud sia di San Francisco che di Berkeley: maledetti i San Francisco 49ers che han costruito lì il loro stadio 🙂

Comunque, all’andata c’è un comodissimo treno che da Berkeley porta alla stazione di Santa Clara a due passi dallo stadio: benone. Per il ritorno questo treno non c’è, ma c’è la BART (ricordo, la metro/ferrovia suburbana della Baia) che parte da Fremont, non troppo distante da lì, fino a tarda ora: ci sarà una navetta, o alla peggio  si andrà di UBER.

Insomma, il giorno dopo – con l’entusiasmo non troppo alle stelle (eufemismo) – si parte.

Tra l’altro qui ho modo di avere conferma di un altro aneddoto che racconto, tanto sono in ballo. Se non volete perdere tempo saltate un paragrafo… ma la faccio breve dai 🙂

Fin dalle mie prime sere americane a gennaio, la notte mi capita di sentire dei suoni provenire da ovest, quindi dal mare, che inizialmente avevo identificato come sirene delle navi. Un bel giorno però un’italiana a Berkeley smontò la mia teoria: si tratta della sirena non delle navi, ma dei treni (che qui appunto hanno un suono più da nave che non il fischio cui siamo abituati in Italia). In effetti la ferrovia corre lungo la costa e quindi almeno geograficamente ci avevo preso 🙂 Il motivo per cui scampanellano alla grande (notte e giorno, ma evidentemente ci facevo caso solo nel silenzio della notte, vivendo abbastanza lontanuccio dal mare), mi era stato detto, è che molte strade qui nei paraggi sono senza passaggi a livello (!) e quindi i treni, oltre ad andare pianissimo, devono attirare l’attenzione. Ero parecchio scettico… ma andando al concerto mi sono dovuto ricredere! Ho fatto anche un video mentre passavo in centro ad Oakland: praticamente fate conto che passi un Frecciarossa in Corso Magenta, o qualcosa del genere! Nel video però si vede un passaggio a livello chiuso… almeno quello 🙂

Va bene, comunque bando alle ciance. Ormai sono arrivato al Levi’s Stadium!

Solita trafila delle band di apertura e… si comincia! Rubo il video dell’inizio del concerto da Youtube.

Nemmeno da dire che dopo due nanosecondi il mio mood poco entusiasta fa un’inversione di 180°! Inutile raccontarlo a parole: ecco un po’ di foto e qualche mio video!

Davvero uno spettacolo incredibile: lo dicevo io che facevo bene ad andare ahah!

Tutto liscio quindi? Beh, naturalmente non si chiama America 2017 se non c’è qualche imprevisto.

Al termine del concerto, come detto, punto alla BART. Con mia gioia, scopro che c’è un fantastico bus di linea pronto a partire: ottimo! In buona compagnia (con me ci saranno altre 30 persone uscite dal concerto e dirette a Fremont) ci avviamo quindi verso la BART. Quando arriviamo però c’è la sorpresa: il tabellone elettronico indica che non ci sono più treni verso Richmond (la mia direzione). Un rapido controllo al tabellone degli orari ed effettivamente si scopre che l’ultimo treno è partito 5 minuti prima (ça va sans dire). Mentre parlotto con un mio compagno di sventure olandese, anch’egli ricercatore a Berkeley e con il quale sto prendendo accordi per condividere un UBER, scendono dai binari altri ragazzi americani che ci dicono: “Venite ragazzi, il tabellone del binario dice che sta per arrivare un treno verso Richmond!”. Sarà… Insomma, saliamo e in effetti il tabellone parla di un treno in arrivo, ma non dà informazioni “standard”. Uhm… E infatti dopo pochi secondi un treno con scritto Richmond passa anche… ma tira dritto senza fermarsi! Io e il ragazzo olandese ci guardiamo con chiaro cenno di intesa senza doverci dire nulla. Insomma, torniamo giù e chiamiamo il nostro UBER, ma non prima di aver pagato qualcosa tipo 5.75$! I biglietti della BART infatti non valgono solo per una singola corsa, ma hanno un credito da cui viene scalata, quando lo passi al tornello di uscita, una somma a seconda del numero di fermate effettuate e/o della distanza percorsa. Non si sa per quale motivo debbano addebitare qualcosa (anzi più di qualcosa: Berkeley-San Francisco sono 4 $) come se fossi andato a Oakland e tornato indietro… Mah, comunque poco male, l’UBER è arrivato e peraltro è l’UBER più affollato del mondo: macchina microscopica in cui, oltre al conducente, siamo in quattro (altre due ragazze nostre compagne di viaggio sul bus sono state caricate dall’altra parte della stazione), con peraltro il mio socio olandese (due metri di altezza) che prima gentilmente mi fa sedere davanti, ma poi mi pianta le ginocchia nella schiena, mentre le mie me le ritrovo in gola, in pratica!

E va beh comunque finalmente si torna a casa. E mentre guardo lo skyline di Oakland mentre viaggio sull’Interstate-880, penso… ma quante sparatorie staranno avvenendo tra quei palazzi in questo momento? 🙂 No dai scherzo, in realtà ripenso al fantastico concerto e penso a questa esperienza americana che, pur tra tutti gli imprevisti che delle volte peraltro fanno pure ridere (una volta passati, ovviamente!), mi sta lasciando tante cose, grandi e piccole, che sicuramente a casa non mi sarei mai sognato di vivere.

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